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Lunedì 9 maggio 2016 ore 17.30-19.00 |  Villa Mylius

Incontro su “Gap, terrorismo urbano 
e Resistenza”

Evento organizzato dalla Fondazione ISEC per presentare e discutere i volumi di Luigi Borgomaneri, Li chiamavano terroristi. Storia dei Gap milanesi, 1943-45, (Milano, Unicopli, 2015) e di Santo Peli, Storia dei Gap. Terrorismo urbano e Resistenza (Torino, Einaudi, 2014).

Interverranno:

  • Alberto De Bernardi, Università di Bologna e Insmli
  • Giovanni Scirocco, Università degli studi di Bergamo

Saranno presenti gli autori.

Fondazione Isec, Villa Mylius, Largo La Marmora 17, Sesto San Giovanni (MM1 Sesto Rondò)
Per info e conferme scrivere a: comunicazione@fondazioneisec.it


I due libri

(schede tratte dai siti degli editori Unicopli e Einaudi)

Li chiamavano terroristi. Storia dei Gap milanesi (1943-1945).

Basata sulla consultazione di una ampia documentazione archivistica, carte riservate di fonte comunista e testimonianze dei protagonisti, l’opera ricostruisce nella sua interezza la storia dei Gruppi di azione patriottica (Gap) operanti in Milano dall’ottobre 1943 al maggio 1945. Integrate dal recupero di decine di biografie di combattenti dimenticati e di accadimenti e figure espunti dalla narrazione ufficiale, le vicende del più attivo e longevo dei gappismi sono per la prima volta riconsiderate criticamente alla luce delle complesse relazioni intercorse con l’apparato comunista. Il nuovo apporto di conoscenze che ne scaturisce configura il caso milanese come specchio e terreno di verifica delle problematiche politico-militari del gappismo nazionale, inserendolo nella più ampia storiografia resistenziale e contribuendo così a una nuova lettura delle ragioni e della dialettica interna che guidarono il Pci nel passaggio dalla fase terroristica a quella della guerriglia urbana di massa.

 

Storie di GAP Terrorismo urbano e Resistenza

I Gap, componente esigua ma rilevante del movimento di Resistenza, occupano un posto marginale nella memoria collettiva e nella storiografia resistenziale. Due ragioni spiegano tale marginalità: da un lato i Gap combattono secondo le modalità classiche del terrorismo, cioè con uccisioni mirate di singoli individui e con attentati dinamitardi; dall’altro sono organizzati e diretti dal Partito comunista, e dunque restano, durante e dopo la Resistenza, connotati politicamente in modo molto piú marcato delle altre formazioni partigiane. Quella dei Gap viene dunque in prevalenza percepita come «un’altra storia», su cui si sono esercitati anatemi con piú virulenza che sulla Resistenza in generale. Nell’immaginario collettivo, alcuni dei piú intricati nodi politici ed etici della lotta resistenziale messi in evidenza dalla pratica del terrorismo urbano continuano, ancor oggi, ad essere schiacciati tra deprecazioni calunniose e acritiche esaltazioni, che prescindono da una reale conoscenza dei fatti. Per la prima volta, origini, sviluppo, difficoltà, successi e fallimenti dei Gap vengono analizzati nell’unico contesto che li rende comprensibili, nella storia della Resistenza. Le condizioni esistenziali e materiali nelle quali i Gap agiscono, le risorse di cui dispongono, la difficile decisione di uccidere a sangue freddo, e i diversi modi in cui si pongono il problema delle rappresaglie, della tortura, della morte, escono finalmente dal mito e dalla demonizzazione liquidatoria.

Nell’aprile 1943 Antonio Roasio, uno dei tre responsabili del centro interno del Partito comunista, invia una lettera «strettamente riservata» alle organizzazioni regionali, in cui fa presente a tutte le strutture di partito l’urgente necessità di attrezzare «i militanti alla lotta armata a mezzo dell’organizzazione di “Gruppi di azione patriottica”, capaci di condurre azioni di sabotaggio delle attrezzature militari contro i massimi dirigenti del partito fascista». Il primo documento scritto in cui si fa riferimento ai Gap è, con ogni probabilità, proprio questo. A livello pratico, però, le prime iniziative concrete verranno messe in atto solo dopo l’armistizio dell’8 settembre che, imponendo un brusco cambiamento della situazione generale italiana, riportò in primo piano l’esigenza di organizzare concretamente la guerra di liberazione. A partire dal racconto degli attentati piú eclatanti – dal colonnello Gobbi al questore Nicolini Santamaria – Santo Peli ripercorre con rigore e imparzialità l’intera vicenda dei Gap per superare le molte «leggende» e restituire ai lettori una ricostruzione lontana dalla retorica e dalla speculazione. Dai profili biografici dei protagonisti alle questioni cruciali – il rapporto fra gappismo e resistenza armata, il tema della rappresaglia, il problema del consenso fra la popolazione – dalla lotta partigiana alle ripercussioni sul nostro passato recente, questo libro colma una lacuna rilevante nel panorama dell’analisi storica del nostro Paese.