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Abstracts della rivista

Abstract del numero 219, giugno 2000
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  • Enzo Collotti L’Insmli e la rete degli Istituti associati. Cinquant’anni di vita pubblicato sul numero 219 di Italia contemporanea, giugno 2000 Abstract: Il testo riproduce la relazione presentata al convegno sui cinquant’anni dell’Istituto nazionale nel marzo del 2000. Esso ripercorre le tappe della formazione e dello sviluppo dell’Istituto, nel suo intreccio con la storia politica del paese e con i progressi della storiografia, proponendosi altresì una riflessione critica e autocritica sia sulle sue realizzazioni sia sugli obiettivi mancati o insufficientemente conseguiti. Dopo aver sottolineato in particolare le due istanze fondamentali — tutela dell’autonomia e scientificità nel pluralismo del suo lavoro — che ne hanno caratterizzato la continuità, il testo si sofferma sui problemi non risolti — a partire dall’insufficiente contributo pubblico che non ha mai consentito un reale consolidamento delle fragili strutture dell’Istituto — che ne hanno costantemente condizionato l’esistenza, senza tuttavia spezzare il nesso tra ricerca e impegno civile, sfociato negli ultimi anni nel coinvolgimento sempre più stretto dell’Istituto nazionale e di quelli associati nelle iniziative di carattere didattico. Problemi nuovi si pongono dunque oggi in un contesto politico-culturale profondamente cambiato, che richiede un ripensamento globale della collocazione dell’Istituto nel paese e nello stesso panorama degli studi. Fra l’altro, l’Istituto deve affrontare oggi anche un cambiamento generazionale, che lo vedrà tra poco gestito unicamente da una generazione di studiosi che non avrà più alcun legame diretto con la lotta di liberazione. La salvaguardia della memoria della Resistenza e il rilancio della ricerca, oltre al recupero della collaborazione internazionale con gli altri analoghi istituti di altri paesi, si prospettano come i compiti prioritari della nuova fase cui va incontro la vita dell’Istituto, di cui è auspicabile il rilancio come centro animatore e non solo di coordinamento della rete degli istituti mediante un progetto culturale capace di mobilitare le energie e le risorse di centro e periferia.


  • Francesca Cavarocchi La propaganda razzista e antisemita di uno ‘scienziato’ fascista. Il caso di Lidio Cipriani pubblicato sul numero 219 di Italia contemporanea, giugno 2000 Abstract: L’articolo intende presentare due aspetti precisi della multiforme attività accademica e pubblicistica di Lidio Cipriani: da una parte l’adesione al Manifesto della razza e più in generale l’attiva partecipazione alla politica razziale all’interno dell’Ufficio studi del Minculpop, dall’altra il ruolo svolto nella campagna propagandistica che accompagnò prima l’‘avventura’ imperiale del fascismo e poi la svolta antisemita del 1938. Partendo dagli ultimi studi sulla gestazione del Manifesto, si è tentato di approfondire alcuni passaggi, in modo da pervenire a una più precisa definizione delle posizioni teoriche e dei contributi che si intrecciarono nella sua elaborazione; è parso inoltre interessante seguire, attraverso i movimenti e le proposte spesso velleitarie dell’antropologo fiorentino, le vicende di un organismo che ha destato finora scarsa attenzione a causa delle sue modeste competenze operative. L’Ufficio studi del ministero della Cultura popolare può tuttavia essere considerato una cartina al tornasole della complessa parabola del razzismo fascista, sia per la densità di proposte e di iniziative che mise in campo, sia per i nomi che si alternarono alla sua direzione, espressione delle ‘sensibilità’ via via egemoni (da quella ‘biologica’ a quella ‘spirituale’ a quella ‘evoliana’). Si è creduto opportuno fornire un quadro dell’attività pubblicistica di Cipriani suddividendola per filoni tematici, poiché in poco spazio si sarebbe offerta una geografia alquanto imperfetta delle sue numerose collaborazioni, diversificate sia per taglio che per tipologia dei periodici (dal "Corriere della Sera" a "Gerarchia", dall’"Illustrazione italiana" all’"Azione coloniale"). La breve introduzione biografica intende sottolineare come Cipriani abbia saputo ritagliarsi un ruolo tutt’altro che marginale all’interno dell’istituzione accademica, grazie soprattutto a forti coperture politiche e ad una lungimirante gestione del proprio personaggio.


  • Gabriele Turi L’Università di Firenze e la persecuzione razziale pubblicato sul numero 219 di Italia contemporanea, giugno 2000 Abstract: Le leggi razziali emanate in Italia nel 1938 colpirono in primo luogo il mondo della scuola e dell’università. Le circolari del ministro dell’Educazione nazionale Bottai vietarono l’iscrizione degli studenti ebrei stranieri e allontanarono tutti i docenti ebrei. L’analisi del caso dell’Università di Firenze vuol mettere in luce non soltanto il meccanismo e le dimensioni dell’epurazione, accompagnata dal colpevole silenzio degli intellettuali, ma anche il suo retroterra politico e culturale. Le università italiane non furono, come molti studiosi hanno affermato, impermeabili al regime: il giuramento di fedeltà imposto ai docenti nel 1931, l’ispirazione fascista di molti corsi e l’introduzione di insegnamenti antropologici e demografici improntati a un’ottica razziale, facilitarono l’adeguamento alle leggi del 1938. Lidio Cipriani, uno dei firmatari del Manifesto della razza, insegnava all’Università di Firenze, dove altri docenti guidavano la Società italiana di antropologia e etnologia che sostenne la campagna razziale. Il mutamento degli indirizzi culturali conseguente alla sostituzione dei docenti epurati avrà effetti duraturi: molti furono infatti, dopo la caduta del fascismo, gli ostacoli burocratici al reinserimento dei docenti ebrei che erano stati allontanati. È una vicenda a lungo rimossa dalla memoria di tutti i protagonisti: solo nel 1999 l’Università di Firenze ha ricordato, con una lapide affissa al Rettorato, docenti e studenti cacciati nel 1938.

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