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Abstracts della rivista

Abstract del numero 232, settembre 2003
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  • Lucia Realini La Mensa dei bambini a Milano 1939-1943 pubblicato sul numero 232 di Italia contemporanea, settembre 2003 Abstract: Milano, ottobre 1939: l’ingegnere Israel Kalk, ebreo, nato in Lettonia ma trasferitosi a Milano dove si era laureato in ingegneria e si era sposato con una cittadina "ariana", organizza, con un piccolo gruppo di amici, la Mensa dei bambini, che accoglie i figli dei profughi ebrei giunti in Italia nel 1938 e nel 1939 dalla Germania, dall’Austria, dalla Polonia, dalla Cecoslovacchia e sfuggiti alla recrudescenza delle persecuzioni antisemite. Questi esuli, spesso poverissimi, erano sottoposti in Italia alla minaccia di espulsione entro sei mesi (decreto legge del 7 settembre 1938). La Mensa dei bambini viene in loro aiuto e offre ai ragazzi un pasto al giorno, assistenza medica, doposcuola e una casa in cui trascorrere alcune ore serenamente. L’attività della Mensa, che continuerà fino all’agosto 1943, si estende poi all’assistenza ai profughi ebrei anziani e ai malati ricoverati negli ospedali milanesi. Il sostegno finanziario proviene dai contributi offerti da benefattori milanesi, ebrei e non, all’istituzione, tollerata dalle autorità fasciste ma sottoposta a continui, a volte vessatori, controlli da parte della polizia. La ricerca, condotta principalmente sul fondo Kalk, conservato presso la Fondazione Centro Documentazione Ebraico Contemporaneo (Milano), ricostruisce una inedita quanto insolita iniziativa, analizzando i rapporti tra la Mensa, le autorità cittadine e il mondo ebraico nel contesto di una città investita dalle vicende della seconda guerra mondiale.


  • Filippo Focardi Un accordo segreto tra Italia e Rft sui criminali di guerra. La liberazione del "gruppo di Rodi" del 1948-1951 pubblicato sul numero 232 di Italia contemporanea, settembre 2003 Abstract: Il 16 ottobre 1948 il tribunale militare di Roma condannava quattro militari tedeschi come criminali di guerra. Il generale Otto Wagener, il maggiore Herbert Nicklas, il capitano Walter Mai e il caporale Johann Felten venivano giudicati responsabili della fucilazione di ventinove prigionieri di guerra italiani sull’isola di Rodi e condannati a pene detentive che andavano dai 9 ai 15 anni. I quattro del cosiddetto "gruppo di Rodi" rappresentavano il nucleo numericamente più consistente dei criminali di guerra tedeschi processati in Italia. La loro vicenda è significativa del corso della giustizia italiana. A partire dall’estate del 1949 veniva intrapresa una serie di azioni per la loro liberazione. La prima istanza che si adoperò a favore dei prigionieri tedeschi fu la Santa Sede. Un ruolo importante ebbe soprattutto il vescovo austriaco Alois Hudal, rettore del Collegio teutonico presso la chiesa di Santa Maria dell’Anima a Roma. Nel 1950 intervenne direttamente il governo della Repubblica federale tedesca, legato da stretti rapporti politici con il governo italiano di De Gasperi. Risolutivo fu l’incontro avvenuto a Roma il 26 novembre 1950 fra il segretario generale del ministero degli Esteri, Vittorio Zoppi, e l’inviato di Adenauer, Heinrich Höfler. L’intesa raggiunta prevedeva la liberazione di tutti i criminali di guerra tedeschi condannati in Italia con sentenza passata in giudicato. Da parte italiana si chiese la massima discrezione affinché niente trapelasse nell’opinione pubblica. Fra il febbraio e il maggio 1951 il presidente della Repubblica Luigi Einaudi firmò quattro decreti di grazia per i militari del "gruppo di Rodi", che furono rimessi in libertà. L’ultimo di questi fece ritorno in Germania il 7 giugno 1951, pochi giorni prima della visita di Stato a Roma del cancelliere Adenauer.


  • Gianluca Fiocco Il ritorno delle inchieste sociali nel parlamento repubblicano 1946-1954 pubblicato sul numero 232 di Italia contemporanea, settembre 2003 Abstract: Il saggio prende le mosse dalla ricostruzione del dibattito sulle inchieste parlamentari all’Assemblea costituente. Giuristi e politici si divisero principalmente su tre questioni: il diritto d’inchiesta del parlamento, assente dallo Statuto albertino, doveva essere inserito nella Costituzione repubblicana? Tale diritto poteva essere esercitato da una minoranza parlamentare? E di quali poteri avrebbero goduto le future commissioni d’inchiesta? Alla fine venne approvato l’articolo 82, che affidava al nuovo parlamento il compito di riprendere la prassi delle inchieste interrotta dal fascismo. Viene esaminata quindi la tradizione delle inchieste sociali del parlamento sabaudo e la sua ripresa nel corso della prima legislatura repubblicana. I promotori delle nuove inchieste apparivano consapevoli di riallacciarsi a una storia illustre, che aveva illuminato i principali problemi del paese, il cui limite tuttavia stava nell’incapacità di promuovere riforme concrete. Le nuove inchieste non sarebbero sfuggite a questa norma, andando così a costituire un tassello nel mosaico delle mancate riforme degli anni del centrismo. A questo destino non si sottrasse neppure l’Inchiesta parlamentare sulla miseria in Italia e sui mezzi per combatterla - sulla quale in particolare si sofferma il saggio, descrivendola nelle sue varie articolazioni - le cui indagini fornirono un vasto affresco della società italiana dell’epoca. Non trovò così realizzazione il progetto del presidente della commissione preposta all’inchiesta, il socialdemocratico Ezio Vigorelli, che, conclusa nel 1953 la prima fase delle attività, presentò un disegno di legge che prevedeva l’insediamento di una nuova commissione interparlamentare con l’incarico di definire un piano organico per la sicurezza sociale.


  • Gloria Chianese Crisi sociale e cultura operaia nel Mezzogiorno. Dall’autunno caldo agli anni settanta pubblicato sul numero 232 di Italia contemporanea, settembre 2003 Abstract: Il saggio propone una riflessione sugli elementi costitutivi della cultura operaia in alcune aziende meridionali a partecipazione statale, con particolare attenzione all’Italsider di Bagnoli. La grande fabbrica siderurgica si configura come un microcosmo in cui confluiscono diverse generazioni di lavoratori assunti, in momenti differenti, nel corso degli anni cinquanta e sessanta. L’autrice analizza i diversi saperi e le modalità di trasmissione intergenerazionale del patrimonio politico e sindacale. L’analisi si sofferma sulla stagione dell’"autunno caldo" e dei primi anni settanta. Nella grande azienda siderurgica minore è l’influenza della precarietà occupazionale, che invece informa di sé tutti gli altri segmenti di lavoratori dell’industria, e pertanto risulta possibile concentrarsi maggiormente sui problemi relativi all’organizzazione del lavoro. Tutto ciò costituisce una premessa per avviare il confronto con altri microcosmi operai, come l’Alfasud di Pomigliano d’Arco e il IV Centro siderurgico di Taranto, che hanno storie e identità molto diverse. Si tratta, in ogni caso, di una fase particolare nella storia dell’industria meridionale, a cui seguiranno ben presto processi di ristrutturazione e deindustrializzazione. Di qui l’importanza di non disperdere le ragioni di una cultura operaia che ha attraversato e caratterizzato alcune importanti realtà urbane del Mezzogiorno.

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