Seleziona una pagina

Abstracts della rivista

Abstract del numero 236, settembre 2004
(Visualizza tutti gli articoli del numero)


  • Gianpasquale Santomassimo Giaime Pintor nel viaggio della "generazione perduta" pubblicato sul numero 236 di Italia contemporanea, settembre 2004 Abstract: La breve e intensa vita di Giaime Pintor è stata assunta a lungo quale testimonianza esemplare dell’antifascismo degli intellettuali. In tempi più recenti, dopo la pubblicazione di parte del diario e delle lettere, il giudizio è divenuto più complesso e sfumato, e talvolta si è rovesciato in accusa moralistica di "compromissione" duratura con il regime fascista. Ricostruita nel suo contesto generazionale, e attraverso la traccia esclusiva dei suoi stessi scritti, la vicenda di Pintor appare invece originalissima, fluida e in divenire, aperta a molti esiti possibili, e bruscamente troncata dalla morte improvvisa. Tra ripulsa e fascinazione per guerra e totalitarismo matura un approdo critico all’antifascismo e all’azione politica nutrito di echi risorgimentali, che non fa in tempo a definirsi compiutamente, ma mantiene intatta una forza di suggestione che è fatta anche di straordinaria qualità letteraria e complessità teorica.


  • Renzo Martinelli I comunisti dopo l’VIII Congresso. Il "rinnovamento nella continuità" e la crisi del Pci pubblicato sul numero 236 di Italia contemporanea, settembre 2004 Abstract: Con l’VIII Congresso (1956), il Pci adotta una strategia nuova, la "via italiana al socialismo", che segna un rinnovamento importante in direzione di una tendenziale integrazione nel sistema democratico italiano. Ma subito dopo, soprattutto in un breve periodo che va fino al 1958-1959 e nel quale spiccano, per la loro rilevanza, le elezioni politiche (maggio 1958), appare chiaro che il partito è scosso da una vera e propria crisi, sia sul piano organizzativo - per la diminuzione degli iscritti e dell’attivismo - sia sul piano politico - per la resistenza che la base oppone alla comprensione e all’accoglimento della nuova linea. Il gruppo dirigente, e in particolare il responsabile dell’organizzazione, Giorgio Amendola, si adopera per superare queste rilevanti difficoltà attraverso il "rinnovamento nella continuità", adottando cioè un’impostazione che si sforza di contemperare gli elementi di rinnovamento politico con il mantenimento di determinati fattori di continuità, in particolare sul piano organizzativo. Nelle condizioni date, l’esito positivo, per il Pci, delle elezioni del 1958 apre la strada a un riassorbimento della crisi, ciò che tuttavia avviene pagando il prezzo di un’indubbia lentezza nell’acquisizione reale della nuova strategia, e quindi di una permanenza nel partito di livelli diversi e non omogenei di consapevolezza e di comprensione. Se nel breve periodo la crisi appare così superata, il "rinnovamento nella continuità" ha tuttavia "fissato" storicamente una situazione interna caratterizzata da scompensi e ambiguità non trascurabili. A ciò concorrono fattori come il rapporto acritico con l’Unione Sovietica e la continuità di forme organizzative che condizionano il partito stesso, mantenendolo legato in qualche misura alla tradizione rivoluzionaria.


  • Massimo De Giuseppe Quei ponti sospesi (attraverso l'oceano). Giorgio La Pira e le voci dall'America latina pubblicato sul numero 236 di Italia contemporanea, settembre 2004 Abstract: Se più conosciuti e studiati dagli storici risultano i trascorsi di La Pira come uomo "mediterraneo" e del dialogo Est-Ovest negli anni della guerra fredda, riscoprire i rapporti instaurati con l’America centro-meridionale ci permette di gettare nuova luce sul particolare pacifismo lapiriano e sulla sua idea di carità "strutturale". Il saggio parte dai primi contatti instaurati dal sindaco fiorentino con le rappresentanze diplomatiche latinoamericane, per dipanarsi poi lungo una serie di esperienze di collaborazione, sensibilizzazione, denuncia politica e impegno culturale, sviluppatesi tra gli anni sessanta e settanta. Emerge da un lato la capacità di La Pira di cogliere i segni e i fermenti dei mondi extraeuropei e dall’altra il suo ruolo di catalizzatore per molti giovani impegnati nella denuncia di violazioni dei diritti umani e di situazioni di disagio politico e socio-economico. Emblematici risultano i tentativi di La Pira di mobilitarsi a favore della liberazione di Régis Debray e per salvare la vita a Ernesto "Che" Guevara in Bolivia. Centrali nel lavoro risultano però soprattutto le parti dedicate ai rapporti instaurati con il vescovo brasiliano Helder Camara e con il presidente cileno Salvador Allende: prolungato il primo (dagli anni del Concilio Vaticano II alla morte di La Pira nel 1977), molto più breve il secondo (dal viaggio a Santiago dell’autunno del 1971 al golpe di Pinochet) ma entrambi intensi sia sotto il profilo politico che spirituale. Il saggio si chiude con un richiamo di forte attualità alla "unità dei diversi" e alla priorità del diritto nelle relazioni internazionali che La Pira fece in occasione di un seminario del 1974 dell’Associazione di studi sociali latinomericani. Quasi tutte le fonti utilizzate sono inedite e in buona parte provengono dalle carte personali del sindaco conservate nell’archivio della Fondazione La Pira a Firenze.


  • Mario Gianni Silei Lo stato sociale in Italia. I bienni 1919-1920 e 1968-1969 a confronto pubblicato sul numero 236 di Italia contemporanea, settembre 2004 Abstract: I bienni in questione sono rilevanti momenti di passaggio anche nellÕambito dell’evoluzione delle politiche sociali e del processo di modernizzazione dello Stato sociale italiano. In entrambe queste fasi giunsero a maturazione approcci e proposte di tipo nuovo. Nel primo dopoguerra, divenne centrale il nodo del passaggio da un sistema basato su assicurazioni obbligatorie e riservate solo a determinate categorie di lavoratori a uno a copertura più ampia, esteso anche alle famiglie dei lavoratori o addirittura a forme di assicurazione statale di tipo universalistico. Alla fine degli anni sessanta, richiamandosi al concetto di "sicurezza sociale" e alle politiche economiche keynesiane, il dibattito verteva sulla necessità di una svolta in senso universalistico di uno Stato sociale che, invece, era ancora in larga parte quello ereditato dal fascismo. In un contesto caratterizzato da forti mutamenti sul piano economico, sociale e politico e dall’emergere di nuovi "bisogni" sociali e politici, in entrambe queste stagioni la spinta verso il cambiamento fu il frutto, per la crisi interna alla classe dirigente e delle organizzazioni di rappresentanza, di istanze provenienti dal basso, che chiedevano maggiori tutele e un generale allargamento del sistema di protezione sociale. Nonostante le forti aspettative di cambiamento e il livello avanzato delle questioni dibattute, i mutamenti furono inferiori alle attese. Nel primo dopoguerra, il sostanziale fallimento delle riforme promosse dai governi liberali si tradusse in una sorta di transizione incompiuta da uno Stato sociale "liberale" (ispirato alla Germania bismarckiana) a quello "liberal-democratico" anglosassone, che, nel secondo dopoguerra, avrebbe dato vita al welfare State. Altrettanto limitate e contraddittorie furono le riforme del 1968-1969. Rispetto al primo dopoguerra, tuttavia, questa fase non rappresent˜ del tutto una "occasione mancata" di modernizzazione del sistema di welfare, poichè molte delle riforme discusse e mai approvate trovarono una loro attuazione, sia pure con molte contraddizioni, nel corso dei primi anni settanta.

Il portale dell'Istituto Nazionale è realizzato grazie al contributo di
Il contenuto di questo portale è protetto da copyright dal protocollo Creative Commons Attribution 3.0 Italy License