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Abstracts della rivista

Abstract del numero 254, marzo 2009
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  • Filippo Focardi e Lutz Klinkhammer Quale risarcimento alle vittime del nazionalsocialismo? L'accordo globale italo-tedesco del 1961 pubblicato sul numero 254 di Italia contemporanea, marzo 2009 Abstract: L’articolo 77 del trattato di pace aveva imposto nel 1947 all’Italia la rinuncia a qualsiasi richiesta di indennizzo nei confronti della Germania per i danni subiti nel corso della guerra. Nel 1956 la richiesta di risarcimenti avanzata a Bonn da parte di otto stati dell’Europa occidentale riaprì uno spiraglio anche per l’Italia. Le associazioni delle vittime della persecuzione nazionalsocialista – con in prima fila l’Associazione nazionale ex internati (Anei), l’Associazione degli ex deportati (Aned) e l’Unione delle comunità israelitiche italiane (Ucii) – iniziarono un’azione sia sul piano nazionale che internazionale per ottenere indennizzi da parte della Repubblica federale tedesca. Fino alla caduta di Tambroni nel 1960, i governi centristi e la diplomazia italiana parvero sostenere con scarso impegno le ragioni delle associazioni dei perseguitati. All’inizio del 1961 la situazione però si sbloccò. Furono intavolati negoziati bilaterali che portarono in giugno alla firma di un accordo italo-tedesco con lo stanziamento di 40 milioni di marchi a favore di cittadini italiani che "per ragioni di razza, fede o ideologia" erano stati "oggetto di misure di persecuzione nazionalsocialista". Nel 1963 fu pubblicato il decreto del presidente della Repubblica relativo alle norme per la ripartizione del contributo tedesco, cui seguirono in Germania accese polemiche contro l’inserimento fra i beneficiari di ex partigiani. Fra il 1964 e il 1967 un’apposita commissione italiana lavorò per l’accertamento degli aventi diritto. Il criterio fondamentale di scelta fu basato sull’aver subito una deportazione nei "campi di concentramento nazionalsocialisti", intendendo come tali solo i K.Z (fra cui furono inclusi anche i "campi di sterminio"). Un altro criterio importante fu rappresentato dall’aver compiuto atti di resistenza attiva. Ciò pesò negativamente sul giudizio in merito alle richieste avanzate dagli Internati militari italiani (Imi). I beneficiari degli indennizzi furono 12.673, in gran parte ex deportati politici o razziali. Fra gli Imi, gli aventi diritto furono poco più di mille, a fronte di oltre 266 mila domande.


  • Michela Ponzani Il diritto di Resistenza. Lo status del combattente partigiano e i procedimenti giudiziari 1944-1958 pubblicato sul numero 254 di Italia contemporanea, marzo 2009 Abstract: Il saggio affronta il problema della definizione giuridica dei partigiani nell’Italia repubblicana, in comparazione alle azioni giudiziarie promosse dalla magistratura italiana del secondo dopoguerra contro fascisti della Rsi accusati di collaborazionismo. Sulla base di una documentazione inedita proveniente per lo più dall’Archivio della Procura generale militare di Palazzo Cesi a Roma – sentenze del Tribunale militare supremo – si esaminano le ragioni della mancata equiparazione dei partigiani ai membri effettivi delle forze armate, che favorì un giudizio di irregolarità delle azioni di resistenza, valutate come rapine, estorsioni, violenze private e omicidi. Il materiale giudiziario mette in risalto anche l’inconcludenza delle leggi e dei decreti d’amnistia — modellati su una vecchia concezione della guerra tra truppe regolari, di stampo ottocentesco —, che esclusero da un riconoscimento le azioni ausiliarie o di fiancheggiamento della guerra partigiana, come la comunicazione di informazioni, la somministrazione di viveri e le attività di propaganda o staffetta, giudicate inutili per fronteggiare militarmente il nemico. Nei primi anni cinquanta gli ex fascisti di Salò vennero invece assolti, graziati e riabilitati e videro attivarsi in loro favore sia la magistratura ordinaria di Cassazione — profondamente legata al vecchio regime, per cultura e tradizione —, sia quella militare. Fu proprio quest’ultima ad archiviare casi gravissimi di strage e violenza richiamandosi al dovere di obbedienza delle truppe agli ordini superiori, e ad esprimersi favorevolmente non solo sulla legittimità delle formazioni militari e di polizia della Rsi — attive non meno delle truppe tedesche in azioni di controguerriglia partigiana —, ma anche sull’esistenza di Salò.


  • Paola Bertilotti Riconoscimento, reintegrazione e risarcimento. Le vittime della persecuzione antisemita in Italia 1944-1965 pubblicato sul numero 254 di Italia contemporanea, marzo 2009 Abstract: In Italia gli ebrei subirono, a partire dal 1938, per opera del regime monarchico-fascista, la "persecuzione dei diritti", poi, dopo l’8 settembre 1943, per opera dell’occupante nazista assecondato dalla Repubblica di Salò, la "persecuzione delle vite". Quest’ultima ebbe termine solo a guerra conclusa. "Il ritorno alla vita" degli ex perseguitati non coincise tuttavia con un immediato ritorno alla normalità. La persecuzione continuò a segnare pesantemente le sorti dell’ebraismo italiano anche nel secondo dopoguerra, incidendo sulla sua demografia, sulla sua geografia nonché sulle sue caratteristiche sociali ed economiche. Quale fu in questo ambito l’atteggiamento dello Stato italiano verso gli ex perseguitati? Nell’immediato dopoguerra, furono emanati i primi provvedimenti reintegrativi a favore delle vittime della persecuzione antisemita. Tuttavia, oltre alla situazione drammatica del paese, fenomeni di "continuità dello Stato" nonché interessi strategici legati alle trattative di pace ostacolarono il riconoscimento dei danni subiti dagli ex perseguitati e delle responsabilità italiane nella persecuzione. Con l’inizio della guerra fredda e la rottura dell’unità di governo, esplose una "guerra della memoria" che contribuì a bloccare sia l’espressione di una memoria della persecuzione antisemita che l’adozione di una più completa normativa a favore degli ex perseguitati. L’avvento del centro-sinistra portò a un’ufficializzazione della memoria antifascista e della memoria della deportazione. Gli ebrei italiani poterono ottenere riconoscimenti materiali e simbolici per la persecuzione subita per opera dei nazisti, ma non per la persecuzione fascista.


  • Luca Baldissara Sulla categoria di "transizione" pubblicato sul numero 254 di Italia contemporanea, marzo 2009 Abstract: Nel dibattito storiografico è stata importata la categoria di "transizione". La sua elaborazione prende forma nelle scienze sociali e la sua applicazione avviene soprattutto per spiegare i passaggi di regime politico e istituzionale (dalla dittatura alla democrazia) e i mutamenti degli assetti economici (dalle economie pianificate a quelle di mercato). Il ricorso ad essa negli studi storici è però controversa, poiché la definizione di ‘transizione’ ha però privilegiato sinora il cambiamento piuttosto che la continuità. In questo modo ha valorizzato il momento del passaggio, ha attribuito alla transizione un valore e un significato secondo l’approdo, ha proposto un’immagine lineare, quasi ineluttabile, del processo storico. Riflettendo sul 1945, questo saggio si interroga invece sulla possibilità e sull’utilità di formulare una definizione storiografica di ‘transizione’ che si misuri con le contraddizioni dei processi storici, con la dialettica tra persistenze e innovazioni. Si propone di assumere la transizione come un problema storico in sé: gli storici rivolgano la loro attenzione non al risultato del processo di mutamento quanto alla fase di accelerazione e innesco di quel processo, quando eventi del tempo breve e fattori di lungo periodo frantumano un equilibrio ormai instabile per ricondurre verso condizioni di stabilità. Storicizzare la transizione significa insomma individuare il catalizzatore del mutamento, ciò che innesca le condizioni del cambiamento e le rende operative.


  • Toni Rovatti Politiche giudiziarie per la punizione dei delitti fascisti in Italia. La definizione per legge di un immaginario normalizzatore pubblicato sul numero 254 di Italia contemporanea, marzo 2009 Abstract: A partire dalla conclusione del secondo conflitto mondiale — dal maggio 1945, al dicembre 1947 — è attiva in Italia una legislazione speciale relativa alla punizione dei reati fascisti e, in particolare, dei crimini di collaborazionismo con il tedesco invasore, compiuti indistintamente da civili o militari dopo l’8 settembre 1943. La normativa giuridica per le sanzioni dei delitti fascisti, frutto di un complesso compromesso fra il Governo del Sud e i partiti antifascisti del Clnai — sancito con l’intento comune di arginare le violente derive di giustizia sommaria innescate dall’ansia di rivalsa che pervade il paese dopo la Liberazione —, offre, attraverso le specifiche fattispecie di reato individuate, un preciso quadro descrittivo sulla guerra svoltasi in Italia fra il 1943 e il 1945: una configurazione giuridica dei delitti contestati da cui già emerge una precisa scelta interpretativa rispetto al recente passato. Il saggio si propone di delineare i più importanti nodi tematici di tale legislazione speciale e di analizzarne sinteticamente la genesi e l’evoluzione all’interno della relativa giurisprudenza, per evidenziare come l’approccio sia giuridico che giudiziario assunto dai governi del dopoguerra abbia sensibilmente influito sulla sedimentazione di un’immagine parziale dei crimini di guerra compiuti dai fascisti in Italia durante gli anni della Repubblica sociale italiana.

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