I matti del duce. Manicomi e repressione politica nell’Italia fascista

Il 30 novembre alle ore 16.00 a Fubine presso la Casa del Popolo presentazione del libro I matti del duce. Manicomi e repressione politica nell’Italia fascista di Matteo Petracci. Interventi dell’autore e di Franco Castelli Presidente del Comitato Scientifico dell’Isral.

Mania politica, schizofrenia, paranoia, isterismo, distimia, depressione. Sono queste le diagnosi che compaiono nei documenti di polizia o nelle cartelle cliniche intestate agli oppositori politici rinchiusi in manicomio negli anni del fascismo. Diagnosi più che sufficienti a motivare la segregazione per lunghi anni o per tutta la vita. Quali ragioni medico scientifiche hanno giustificato il loro internamento psichiatrico? Quali, invece, le ragioni dettate dalla politica del regime contro il dissenso e l’anticonformismo sociale? Molto si è scritto rispetto all’esperienza degli antifascisti in carcere o al confino, ma la possibilità che il regime abbia utilizzato anche l’internamento psichiatrico come strumento di repressione politica resta ancora poco indagata. Attraverso carte di polizia e giudiziarie, testimonianze e relazioni mediche e psichiatriche contenute nelle cartelle cliniche, Matteo Petracci ricostruisce i diversi percorsi che hanno condotto gli antifascisti in manicomio. Alcuni furono ricoverati d’urgenza secondo le procedure previste dalla legge del 1904 sui manicomi e gli alienati; altri vennero internati ai fini dell’osservazione psichiatrica giudiziaria o come misura di sicurezza; altri ancora furono trasferiti in manicomio quando già si trovavano in carcere e al confino. Dall’analisi degli intrecci tra ragioni politiche e ragioni di ordine medico emerge con forza il ruolo giocato dalla sovrapposizione tra scienza e politica nella segregazione di centinaia di donne e di uomini, tutti accomunati dall’essere stati schedati come oppositori del fascismo.
Fubine entra in questa tragica storia con la figura di un antifascista come Carino Longo, classe 1908, contadino, comunista, condannato a 5 anni dal Tribunale Speciale, confinato a Ponza, poi internato nell’ospedale psichiatrico di Alessandria. Liberato dopo il 25 luglio 1943, non si diede per vinto e combattè come partigiano sulle sue colline del Monferrato.