Mariuccia Salvati ricorda Anna Rossi-Doria

Il tempo di Anna Rossi-Doria

(Casa internazionale delle donne, 16 febbraio 2017)

 

Siamo qui riunite nella Casa delle donne e nella sede della Società italiane delle storiche per rendere omaggio a Anna Rossi-Doria. Anna è stata forse la storica, studiosa e intellettuale, più stimata e influente nell’universo politico femminile e femminista nazionale degli anni ’70-’90. Influente in quanto studiosa e in quanto intellettuale, anche se schiva rispetto ai media. E lo era, influente, per la consapevolezza e il coraggio con cui ha condotto sempre le sue scelte. Sottolineo la parola coraggio: il coraggio di esporre, di dare un nome ai nuovi dilemmi intellettuali e filosofici, il coraggio di manifestare dubbi e non trarre conclusioni affrettate  e ‘facili’ in materia di scelte intellettuali e soprattutto morali. Il coraggio di fermarsi, a volte, di tacere, di isolarsi, come ha fatto negli ultimi anni; di cedere il passo per esempio a chi amava, Claudio Pavone, perché in lui vedeva lo storico e intellettuale in grado di farsi ascoltare da un’Italia distratta e  cambiata rispetto alle battaglie democratiche degli anni 70-90.

Ma per tutto questo è stata ricambiata da un affetto diffuso e profondo, dei cui segni a volte lei stessa si stupiva, assorbita com’era dai suoi nuovi compiti famigliari.

Vorrei essere capace di dare uno spessore letterario a una biografia che merita di essere ricostruita con questo talento, perché esemplare dell’Italia uscita dalla Resistenza e immersa in un processo di grande trasformazione che investe non solo gli aspetti economici ma la soggettività e la coscienza di nuovi diritti.

Anna Rossi-Doria, classe 1938, è stata una giovane donna estremamente intelligente e colta, stimata e bellissima: figlia di Manlio, cioè di una personalità protagonista dell’antifascismo e del riformismo del dopoguerra, studentessa brillante, era destinata quasi naturalmente agli studi e alla carriera universitaria. Se ciò non è avvenuto, almeno per qualche anno, la ragione si deve alla scelta del matrimonio e alla nascita delle figlie. Si sposò con Carlo Ginzburg, unendo due famiglie simbolo dell’antifascismo e della resistenza. E’ stata una scelta – il matrimonio, la maternità – di cui era fiera e felice e che, anziché frenare la sua figura intellettuale, l’ha arricchita e l’ha resa quella persona speciale, sia sul piano umano che intellettuale, che noi abbiamo avuto la fortuna di conoscere.

E’ questo un retroterra che non va dimenticato: la sua cultura, i suoi profondi convincimenti morali, uniti alla passione per la letteratura rendevano la conversazione con lei un piacere e anche una sfida. Anna è stata una grande ‘maestra’ e molte giovani studiose qui e in giro per l’Italia (dalla Calabria all’Emilia) possono testimoniarlo.

Anna comincia le sue prime ricerche con la tesi di laurea su di Rudinì insegna nelle scuole secondarie, si dedica alla famiglia e riprende la ricerca dieci anni dopo, inserendosi attraverso l’Irsifar nella rete dei primi gruppi di ricerca, costituiti dall’Insmli a partire dal 1974, sull’età della ricostruzione. In quegli anni Anna fa ricerche sul movimento contadino meridionale, nella speciale congiuntura rappresentata dalla presenza, nel 1945-46, al ministero dell’Agricoltura del comunista Fausto Gullo. Si vede già qui il suo interesse per l’incontro tra movimenti e istituzioni, la sua passione per una lotta politica che – nella scia della guerra di Resistenza e della scrittura della Costituzione – punti alla conquisti dei diritti: caratteristica che sarà anche sua propria nel movimento per le donne. Sono quelli, gli anni a cavallo tra Settanta e Ottanta anche gli anni dell’impegno nel  movimento femminista, nel coordinamento delle donne del sindacato (FLM) sulla legislazione protettiva e poi dei corsi al Virginia Woolf, e infine all’università, dapprima nell’Università di Calabria (dove si trovò benissimo) e poi a Bologna, con il primo corso ufficiale di storia delle donne.

Anna ha un concetto alto del significato di parole come cittadinanza e uguaglianza.  Per Anna il ponte su cui avviene il transito delle donne dal silenzio alla politica è il passaggio dentro le istituzioni, è la battaglia per i diritti, è l’approdo delle donne nel diritto, non solo come soggetti di diritto al pari degli uomini, ma anche come soggetti costruttori e promotori di nuove forme del diritto. Questa è la parola chiave che connota in maniera specifica la battaglia di Anna nel femminismo e nella ricerca storica. E’ lei stessa del resto a sottolineare come il contributo della storia delle donne alla storia politica si caratterizzi per l’attenzione al tema della cittadinanza (anzi a Il dilemma della cittadinanza), dunque per la rivendicazione dell’universalità dei diritti per tutte le donne che pure ne chiedono una formulazione specificamente femminile. D’altra parte è ancora lei a ricordare nell’introduzione a Dare forma al silenzio (p. XVI) come questa precoce attenzione al tema dei diritti (individuali, non sociali), presente da tempo nelle donne impegnate nel campo politico, sia in contrasto con le culture politiche maggioritarie nel nostro paese (a differenza di quello anglosassone dove la differenza femminile, per ragioni di cultura religiosa, non è sinonimo di inferiorità)

E’ qui infatti la specificità del gesto storico e militante di Anna: la volontà di portare la voce delle donne dentro il recinto della polis, della politica e lì misurarsi con la dimensione della universalità, con tutte le sue molteplici facce. Lo si vede bene nei saggi militanti e nella varietà dei luoghi in cui questi interventi sono stati esposti e dibattuti : cioè la realtà di un femminismo che nel caso specifico italiano ha visto la sua presenza in tutte le regioni, in tutte le provincie, in tutte le città italiane, anche là dove le femministe si erano già formate nei gruppi della sinistra.

Forse per le ragioni di esperienza personale che abbiamo richiamato, Anna è stata la storica più attenta a evidenziare le contraddizioni che il femminismo portava con sé: quelle legate al tempo delle donne. Usava partire da una citazione della Kristeva che sottolineava la contraddizione tra il tempo della soggettività femminile (la ripetizione e l’eternità) e quello lineare del progresso, il tempo della storia. p. 270.

La cesura dell’89, l’evento rappresentato dal ritorno dell’antisemitismo in Europa e soprattutto in Italia, e che coincide con la scomparsa della generazione dei sopravvissuti ai Lager, impone alla storica Anna (figlia di madre ebrea) una nuova scelta: un dovere personale sia di memoria che di specifica ricerca storica. Nel 1998 Anna pubblica un piccolo libro dal titolo Memoria e storia: il caso della deportazione, sui tre diversi tipi di italiani deportati (internati militari, politici, ebrei) e la memoria divisa e solitaria dei 3 gruppi. Su questi argomenti Anna accumula materiale, ma pubblica poco. Notiamo che per ora ancora non ci sono le donne, bisognerà aspettare qualche anno perché Anna affronti il difficile tema della memoria e della storia delle donne nella deportazione nel lungo saggio Memorie di donne, pubblicato in Storia della Shoah (2006). E’ infine in un saggio pubblicato nel 2011[1] che si ritrovano riuniti i fili teorici delle due antologie, in una ricerca dal titolo Appunti su emancipazione ebraica e diritto alla differenza.

Su questi temi (emancipazione e diritti alla differenza, per donne, ebrei, nella cultura europea) Anna ha continuato a lavorare e a raccogliere materiale fino all’ultimo.

Vi sono due modi di guardare alla vita pubblica di Anna, che oggi ricordiamo in questa sede: quello di coloro che l’hanno conosciuta, che hanno condiviso, in parte o in toto, la sua stessa esperienza, o nel campo della battaglia politica – dell’intensa attività formativa svolta in sedi sindacali, Udi, centri e istituzioni culturali, gruppi femministi, Coordinamenti donne del sindacato, circoli politici, negli anni Settanta e Ottanta – o nella condivisione del lavoro istituzionale come professore di storia delle donne (e quindi impegno nella creazioni di reti associative legate a questo insegnamento).

Ma vi è un altro modo che forse qui risulta più importante: la cifra personale che Anna ha apportato sia nell’uno che nell’altro campo di impegno, legandoli strettamente l’uno all’altro.  Una riflessione che Anna stessa ha proposto nella Introduzione alla raccolta Dare forma al silenzio e che rappresenta una eredità preziosa su cui bisognerà tornare, da un punto di vista storico e di riflessione politica.

Vorrei sottolineare per concludere la centralità nel suo pensiero del tema dei diritti. Come ricordava Anna nei suoi studi sulla storia del dopoguerra, per le donne, la battaglia allora si concentrò non sui diritti individuali ma sui servizi per la società: il riferimento era ai valori della maternità anziché a quelli dell’individualità. Il tema dei diritti a sua volta si intreccia con quello sempre attuale della cittadinanza, cioè il rapporto tra le idee di uguaglianza e di differenza: il nostro obiettivo dovrebbe essere quello di ridefinirle in modo che uguaglianza non significhi uniformità e differenza non equivalga a gerarchia.

Da questo punto di vista, la battaglia dei diritti individuali delle donne è ancora politicamente attuale nel mondo: essi continuano a essere minacciati in nome, per esempio, della difesa della famiglia o del rispetto delle tradizioni etniche e religiose. Ma se è così, vuol dire che abbiamo ancora bisogno di leggere e rileggere gli scritti di Anna, traendo ispirazione dalla sua costante e profonda passione politica e civile.

 

Mariuccia Salvati

 

 

 

 

 



[1] Nel volume: Pensare la contemporaneità. Studi di storia per Mariuccia Salvati, a cura di P.Capuzzo, C.Giorgi, M.Marini, C.Sorba, Viella, Roma 2011, pp. 275-291