In ricordo di Elio Gollini

Elio Gollini fa parte, a parer mio, della generazione più virtuosa che l’Italia Repubblicana abbia mai avuto. Una generazione che ha saputo ribellarsi al fascismo e alle sue ingiustizie e che dopo la Liberazione si è rimboccata le maniche per ricostruire il tessuto economico e sociale completamente lacerato e corrotto dalla guerra e dalla dittatura. E tutto questo Elio lo ha fatto da comunista, una veste oggi demodé, quasi sacrilega, ma che ha saputo portare con estrema dignità, senza enfasi e sovrastrutture. Soprattutto con coerenza anche se spesso era fuori dal coro per questa sua tensione unitaria e riformista. Privilegiava la sostanza e la concretezza. Fin dal suo primo gesto ribelle, quell’incrociare le braccia alla Cogne nel febbraio del 1943, non per ideologia ma contro le ingiustizie che gli venivano perpetuate, che gli costò 15 giorni di carcere e che gli fecero vedere la vita “sotto un punto di vista più completo, con un’altra quadratura mentale, altri orizzonti, altre aspirazioni”.

Sono i prodromi del suo impegno nella Resistenza e nella politica, segnati dalla lettura del “Manifesto del Partito Comunista” e dall’incontro con Francesco Sangiorgi, valoroso partigiano ucciso in Istria nell’ottobre del 1943.

Responsabile del Fronte della Gioventù imolese, poi addetto alla riproduzione e diffusione della stampa clandestina, essendo redattore del periodico “La Comune”, di cui divenne direttore dal marzo al dicembre 1944. Alla costituzione del Comando Piazza partigiano di Imola (settembre 1944) ne ha fatto parte in qualità di addetto ai servizi informazioni e Stato maggiore. Organizzatore delle squadre SAP in città e in collina, divenne vice-comandante di battaglione, poi di brigata nel settembre 1944.

Nel febbraio del 1945, braccato dalle Brigate Nere, fugge a Bologna dove rimarrà fino alla Liberazione. L’epilogo di questa tormentata avventura è impressa nelle pagine del suo diario: “E’ finita dunque; la tremenda avventura è finita! Mi getto su una sedia, con la gola arida, le membra spossate; vorrei riposare ma ecco delle voci che mi chiamano. Sono i compagni che mi vogliono salutare: Wilson, Chucchi, Milio, Sergio, Franco, ecc. Ci raccontano tante cose, ma tutto ci sembra ormai lontano, tutto è ormai finito. Le peripezie, i dolori e i sacrifici passati sono tutti dimenticati nel pensare che abbiamo liberata l’Italia, che anch’io ho dato il mio modesto contributo a questa liberazione, e ora tutte le nostre energie devono essere tese verso la ricostruzione; ora bisogna lottare nella legalità, ora bisogna educare, creare le coscienze. L’Italia ha bisogno che tutti i suoi figli siano uniti per garantire la rinascita, ed io fido nei miei compagni, fido nel popolo che ha sofferto e combattuto e sono certo che da esso scaturiranno le nuove energie per la rinascita dell’Italia”.

E questa forte motivazione portò Gollini a profondere tutte le energie nella cooperazione, in particolare fu tra i soci fondatori della CIR che diresse collegialmente fino al 1983. In questo ruolo ha potuto far crescere il suo approccio riformista e dialogante, specialmente con i socialisti ma anche con le forze cattoliche, in nome di un interesse generale e di uno sviluppo economico che ha contribuito a rafforzare i ceti medi e i lavoratori a reddito fisso, che lentamente sostituirono il bracciantato avventizio. E’ la stessa visione che lo porterà nel 1956 ad una critica severa delle reticenze del PCI rispetto al mondo cooperativo: “Questa concezione e la riserva mentale di molti nostri dirigenti verso la cooperazione generatrice di aristocrazie operaie di isole economiche, di concezioni riformistiche atte a far disertare ai cooperatori la lotta politica di classe, hanno portato la strutturazione organizzativa del movimento cooperativo e la politica verso la cooperazione a fossilizzarsi in forme superate di realizzazioni di azione e di pensiero. La strutturazione cooperativa è oggi spezzettata, troppo spezzettata e a ciò ha portato l’orientamento tendente a tenere lontano il movimento cooperativo dalla illusione di poter creare all’interno del mondo borghese una specie di economia cooperativa, e quindi vi è stato un freno alla creazione di strutture economiche cooperative verticali che andassero dalla produzione al consumo e ad un sempre maggior potenziamento di quelle esistenti”.

La C.I.R. nacque dalle ceneri della Dalmata, dopo una dura contesa tra gli azionisti e gli operai perché mentre gli azionisti, che erano prima che industriali, degli speculatori commerciali ed erano stati contrari allo sviluppo dell’azienda, miravano a fare della Cooperativa un loro feudo, da continuare a sfruttare commercialmente, senza più avere la preoccupazione delle rivendicazioni operaie e della Direzione aziendale, gli operai, o meglio il gruppo di essi orientato verso la costituzione della Cooperativa, oltre che gli aspetti sociali della cosa pensava con questa forma di sottrarsi allo sfruttamento padronale, di rendersi gradatamente autonomi e di riuscire così a creare un organismo sano e soprattutto, di impedire che un complesso economico così importante per l’economia cittadina come “La Dalmata” si fosse polverizzato.

Dopo i primi anni di vita, durissimi per le promesse di finanziamento vanificate e per la diminuzione delle commesse, la CIR, grazie all’entrata di nuovi dirigenti e ad una riorganizzazione del ciclo produttivo, trovò una costante crescita. Nel 1955 Gollini divenne Segretario del Consiglio di Amministrazione e subito palesò le linee teoriche della sua idea di cooperazione che poi renderanno la CIR peculiare rispetto alle altre cooperative: “I soci devono vedere la giustezza oltre che sociale e morale, anche nell’interesse produttivo che la cooperativa sia aperta, che tutti i lavoratori onesti e capaci possano divenire soci. I giovani operai sono la linfa vitale della cooperativa, praticamente saranno essi che daranno maggior contributo quando le nostre forze già declineranno ed è quindi giusto che sia data a tutti loro, in qualsiasi momento e senza dover incontrare ostacoli economici la possibilità di diventare soci”.

In questi anni Elio svolge un’intensa attività politica, come consigliere comunale, eletto nel 1946 e rieletto nel 1951 e come Segretario della Sezione “Ruscello”, attività che egli stesso definisce snervante, incessante e senza tregua. Nel novembre 1957 si inaugurarono i nuovi stabilimenti della Cir in Via Riccione. Nel maggio del 1958 entra a far parte del Comitato Comunale di Coordinamento della Cooperazione Imolese, nel 1964 viene rieletto consigliere comunale fino al 1980 e consigliere provinciale dal 1975 al 1980.

 Il 1983 fu un anno cruciale che segnò la seconda parte dell’intensa vita di Elio Gollini. il 40° anniversario della Lotta di Liberazione si celebrò con l’Assegnazione alla città di Imola della Medaglia d’Oro al valore militare e con l’istituzione del Centro Imolese di Documentazione Antifascista, il sogno di sempre. Un istituto – così scriveva – che ha per scopo la raccolta, conservazione, consultazione di documenti, stampati, libri, foto, oggetti, cimeli e quant’altro interessi il periodo che va dall’avvento del fascismo alla liberazione. Poi, nel 1985 il progetto si completa con la mostra museo sulla Resistenza visitata ogni anno da centinaia di studenti.

Lo ricordo con la coppola e la sua inseparabile valigetta, con i quali percorreva a piedi ogni giorno il tragitto da casa alla sede del Cidra in via Dei Mille e viceversa, e la sua precisione maniacale di documentare e lasciare ordinate tracce. Mi mancherà il suo carattere burbero, che era solo di circostanza, perché passato indenne il primo approccio, ti apriva il cuore e ti donava preziosi consigli. Difficilmente troverò un altro esempio di così cristallina sobrietà, che non aveva altro vezzo oltre a quello del fare. Per lui hanno sempre contato le cose semplici, sempre che l’amicizia, l’onestà e l’educazione lo siano.