MILLENOVECENTO65. Trentatreesima rassegna di cinema e storia

                                    L’Archivio Nazionale Cinematografico della Resistenza ripropone ancora una volta una selezione di film usciti in Italia nello stesso anno (in questo caso si tratta del 1965), come sempre muovendo dalla convinzione che un insieme di opere coeve possa restituire, riflettendole ed elaborandole, linee di tendenza, tensioni e reazioni sociali e culturali dell’epoca che le esprime.

La rassegna si svilupperà nel corso di tre giorni, il 3, il 4 e il 5 dicembre, al cinema Massimo 3, proponendo nove film. Fra gli autori dei film in rassegna troviamo i nomi importanti di Luchino Visconti, Pier Paolo Pasolini, Carlo Lizzani, Valerio Zurlini, Antonio Pietrangeli, Alberto Lattuada, Ermanno Olmi, Federico Fellini, e quello di un esordiente nel 1965, Marco Bellocchio.

L’Italia del 1965, a cui quei film erano più immediatamente destinati, è un contesto nel quale il ‘boom’ è ormai decisamente alle spalle e sono politicamente prevalse politiche restrittive sui redditi con il conseguente rallentamento di investimenti e produzione e la lievitazione della disoccupazione (oltre che della piaga della fuga dei capitali all’estero). I prezzi tuttavia salgono in un paese oramai culturalmente sprovincializzato (e, soprattutto nel mondo giovanile, ‘americanizzato’): la curva dei consumi, soprattutto di beni non durevoli, per cui il paese è ancora poco attrezzato, si mantiene infatti in alto. Su tutto aleggia il dramma in crescendo dell’intervento degli Stati Uniti nella guerra in Vietnam. A delineare l’orizzonte internazionale che farà da contesto all’incendio del non lontano 1968, va richiamata inoltre per il 1965 la scelta di Ernesto Che Guevara di lasciare il ministero dell’industria a Cuba per impegnarsi personalmente nella costituzione di un fronte di guerriglia in Bolivia, mentre a novembre in Cina si fanno i primi passi di quella “rivoluzione culturale” maoista, idolatrata, anche in Occidente, contrastata, poi esecrata, ma non ancora equilibratamente soppesata in tutta la sua storica, indubbia rilevanza.

Il cinema, in drastico calo di produzione (dai 218 film dell’anno precedente si passa ai 144 del 1965) registra i confusi fermenti, i sussulti sotterranei di un epoca in movimento oltre gli orizzonti del ‘miracolo’ economico.

Dei nove film in rassegna due forse più di tutti ci sembrano rappresentativi: Comizi d’amore di Pier Paolo Pasolini, uno straordinario film inchiesta che esplora non tanto e non solo i costumi sessuali degli italiani ma soprattutto i loro radicati e inconfessati tabù, e I pugni in tasca del giovane Marco Bellocchio, diventato ben presto un vero e proprio cult per i tocchi di crudele verità con cui affronta il tema del disfacimento della famiglia borghese tradizionale. Ma anche il ritratto di ragazza che Pietrangeli disegna con estrema sensibilità in Io la conoscevo bene scopre nella tensione fra essere (in primo luogo donna) e apparire la chiave di volta di nuove forme di sfruttamento, di inautenticità e di desolazione. Si può accostare a quello anticipatore di Pietrangeli il ritratto sempre femminile che propone Fellini in Giulietta degli spiriti, in cui è in qualche modo in causa il tema della (non facile) sopravvivenza al crollo dei mondi convenzionali, mentre La Celestina P…R… di Lizzani è più che altro una divertente occasione per celebrare la ricomparsa sugli schermi, dopo anni e anni, della diva del Ventennio Assia Noris. Visconti rilegge nell’intento di attualizzarlo l’archetipo della tragedia in Vaghe stelle dell’Orsa e Lattuada il Machiavelli della Mandragola con in mente la pochade e (per fortuna) Totò nel cast. Al comportamento dei militari italiani nelle aree d’occupazione nel corso della Seconda guerra mondiale rivolge con netti accenti critici la sua attenzione Valerio Zurlini in Le soldatesse (intervenendo a suo modo sul luogo comune di lungo corso degli “italiani brava gente”), mentre Olmi si prefigge in E venne un uomo un ritratto del grande papa del Concilio appena scomparso, Giovanni XXIII, sperimentando formule espressive che gli evitino i grandi rischi della messa in scena nel caso della rievocazione di personaggi storici.