Spettacolo teatrale di e con Marco Gobetti, musiche di Dario Buccino. Corpi, parole, azione, musica e canto per essere pronti alle andate e ai ritorni.Cavalcare i secoli. Intelligenza e conoscenza. Capire oltre alle apparenze. Avere il coraggio di pensare e sognare… (https://drive.google.com/file/d/1K41cL6E4ilLd_vgoQC5XVRiW3PtdX1cZ/view)
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“Arte per la vita”
Concerto per la memoria
Concerto dell’ensemble MISHKALE’, Klezmer e Gipsy Music. Lo shtetl, il villaggio ebraico dell’Est Europa, rivive in questo concerto attraverso la musica klezmer, le canzoni in yiddish e i racconti di quelle comunità spezzate dalla shoah.
“Triangoli rossi. Voci della deportazione”
“E’ bello vivere liberi”
Guido suonava il violino
Un vecchio violino entra prepotentemente nella quotidianità di una ricercatrice, costringendola ad abbandonare il suo rassicurante, scientifico metodo di indagine, chiedendole di dedicarsi, anima e cuore, alla ricostruzione di una storia da salvare dall’oblio. Quel violino uscito dalla polvere di una cantina pare dotato di volontà propria: stride, geme, chiama con veemenza e ottiene ascolto. E racconta la vicenda di una famiglia ebrea sfollata al tempo delle leggi razziali e della guerra, con gli immancabili risvolti di sradicamento, discriminazione, deportazione. Attraverso un sofferto percorso di ricerca, specialmente dentro se stessa, la ricercatrice comprenderà che restituire il nome al proprietario del violino è affermare la sua esistenza: un atto di resistenza contro il sistema concentrazionario nazifascista, progettato per annientare, spersonalizzare, cancellare. Chi sono i “sommersi”, chi i “salvati”, allora come oggi? Chi i complici? Quali i giusti? Dove si colloca la protagonista stessa, nel suo mettersi in gioco – donna ed essere umano prima ancora che investigatrice – per svelare la verità intorno a questa vicenda? Il nodo centrale del lavoro teatrale non è tanto la Shoah, ma ciò che l’ha preceduto: la vita delle singole persone, con le loro gioie, miserie, speranze, scelte, legami.locandina-annone
La strada di casa. Il ritorno in Italia dei sopravvissuti alla Shoah
Guido suonava il violino
Un vecchio violino entra prepotentemente nella quotidianità di una ricercatrice, costringendola ad abbandonare il suo rassicurante, scientifico metodo di indagine, chiedendole di dedicarsi, anima e cuore, alla ricostruzione di una storia da salvare dall’oblio. Quel violino uscito dalla polvere di una cantina pare dotato di volontà propria: stride, geme, chiama con veemenza e ottiene ascolto. E racconta la vicenda di una famiglia ebrea sfollata al tempo delle leggi razziali e della guerra, con gli immancabili risvolti di sradicamento, discriminazione, deportazione. Attraverso un sofferto percorso di ricerca, specialmente dentro se stessa, la ricercatrice comprenderà che restituire il nome al proprietario del violino è affermare la sua esistenza: un atto di resistenza contro il sistema concentrazionario nazifascista, progettato per annientare, spersonalizzare, cancellare. Chi sono i “sommersi”, chi i “salvati”, allora come oggi? Chi i complici? Quali i giusti? Dove si colloca la protagonista stessa, nel suo mettersi in gioco – donna ed essere umano prima ancora che investigatrice – per svelare la verità intorno a questa vicenda? Il nodo centrale del lavoro teatrale non è tanto la Shoah, ma ciò che l’ha preceduto: la vita delle singole persone, con le loro gioie, miserie, speranze, scelte, legami.
Dopo il 16 ottobre. Gli ebrei a Roma tra occupazione, resistenza, accoglienza e delazioni (1943-1944)
Silvia Haia Antonucci (responsabile Archivio storico della Comunità ebraica di Roma) e Claudio Procaccia (direttore del Dipartimento per i Beni e le Attività Culturali della Comunità ebraica di Roma) presenteranno il libro curato per la casa editrice Viella, risultato di una ricerca coordinata dal Museo della Shoah di Roma (https://www.viella.it/libro/9788867284870)
Per iscrizioni: http://www.scuolealmuseo.it/blogdidattica/
Guido suonava il violino
Un vecchio violino entra prepotentemente nella quotidianità di una ricercatrice, costringendola ad abbandonare il suo rassicurante, scientifico metodo di indagine, chiedendole di dedicarsi, anima e cuore, alla ricostruzione di una storia da salvare dall’oblio. Quel violino uscito dalla polvere di una cantina pare dotato di volontà propria: stride, geme, chiama con veemenza e ottiene ascolto. E racconta la vicenda di una famiglia ebrea sfollata al tempo delle leggi razziali e della guerra, con gli immancabili risvolti di sradicamento, discriminazione, deportazione. Attraverso un sofferto percorso di ricerca, specialmente dentro se stessa, la ricercatrice comprenderà che restituire il nome al proprietario del violino è affermare la sua esistenza: un atto di resistenza contro il sistema concentrazionario nazifascista, progettato per annientare, spersonalizzare, cancellare. Chi sono i “sommersi”, chi i “salvati”, allora come oggi? Chi i complici? Quali i giusti? Dove si colloca la protagonista stessa, nel suo mettersi in gioco – donna ed essere umano prima ancora che investigatrice – per svelare la verità intorno a questa vicenda? Il nodo centrale del lavoro teatrale non è tanto la Shoah, ma ciò che l’ha preceduto: la vita delle singole persone, con le loro gioie, miserie, speranze, scelte, legami.
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